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Case a schiera a Villaricca

mattoni CASE A SCHIERA A VILLARICCA, 1993

IL GEOMETRA DI FIDUCIA. Capito 7 del libro “Altre parole nel vuoto” Giannini 2010.

L’argomento della fiducia presenta molte sfaccettature e credo che nella mia esperienza professionale il caso più singolare sia la vicenda delle case a schiera a Villaricca. Nel 1993 redassi un progetto di otto case a schiera per un cliente presentato dal mio falegname. Al solito la progettazione – come sosteneva Le Corbusier – fu una ricerca paziente, una lotta nel confronto serrato fra i dati. Considero un progetto concluso quando alla maniera di Alberti «non è possibile togliere o aggiungere cosa alcuna acciocché non vi istesse peggio». Ero soddisfatto per la coerenza ottenuta fra distribuzione, spazi ed impaginati e feci anche una prospettiva a matita per un controllo visivo. Il cliente non espresse alcun parere sulla conveniente ottimizzazione degli spazi, disse solo che voleva il tetto ma esclusi la possibilità di aggiungerlo proprio per quell’equilibrio albertiano della composizione. Così mi ritrovavo di fronte al vecchio conflitto fra copertura piana e copertura a falde che aveva caratterizzato le origini della modernità con argomenti sia funzionali e sia ideologici. Tuttavia, il cliente non sapeva dire perché preferiva il tetto, sembrava che la sua ragione fosse solo di “gusto”. Mi resi conto che non riusciva a comprendere il progetto e quindi incaricai uno studio specializzato di approntare dei render. I giovani architetti dello studio prepararono addirittura un filmato ed erano certissimi della capacità persuasiva del nuovo mezzo espressivo. Invece furono loro a stupirsi quando al termine della proiezione il rozzo cliente esclamò «a me non mi piace». Ripeto spesso agli studenti che il modo migliore per difendere il proprio lavoro è saperlo fare però non dico che questo non vale per difendere i propri guadagni. Purtroppo, tendo a difendere il primo ed avevo quindi deciso di rinunciare all’incarico. Tuttavia, pressato dall’insistenza dell’amico falegname, accettai di accogliere il dato del tetto (che in sé è legittimo) ma, non potendolo aggiungere, dovevo necessariamente riformulare il programma, cioè variare il numero di alloggi per rifare il progetto. Consegnai la nuova soluzione con tetto e con nove case invece di otto ed un carattere diverso da quello delle case a copertura piana. Inspiegabilmente, dopo un certo periodo, il cliente probabilmente consigliato da qualcuno, tornò alla soluzione a copertura piana. Avevamo pattuito un certo compenso ma alla mia richiesta di un modesto adeguamento dovuto al doppio progetto, il rozzo commerciante, minacciò di spararmi in bocca. Era una conversazione telefonica e risposi che, posata la cornetta, lo sarei andato a denunciare. Prima ne parlai con l’amico questore, il padre di Gianluca, che tuttavia mi dissuase dal farlo perché, mi assicurò, la locuzione apparteneva alle costumanze locali e potevo dormire sonni tranquilli. Poi infatti il villano arricchito mi chiese scusa attribuendo la sua esuberanza ad un mal di denti e pagò quanto richiesto.

Dopo cinque anni di commissariamento per infiltrazioni camorristiche del comune di Villaricca, il progetto ottenne la licenza. Feci il grave errore di delegare la responsabilità del progetto al geometra di fiducia del cliente, motivato dal fatto che questo avrebbe favorito l’espletamento delle pratiche burocratiche. Comunque, avviai il progetto esecutivo dopo un’approfondita verifica del mio strutturista. Però il cliente preferì affiancare il suo geometra di fiducia con un suo ingegnere. Costui, si scoprì, era solo un architetto ma s’impuntò per inserire un pilastro nella campata di facciata. Per le ragioni della “composizione”, le stesse per cui riprogettai nove case per inserire il tetto, non potevo accettarlo ma, conscio che l’argomento sarebbe stato incomprensibile, avallai il mio progetto con le verifiche strutturali del mio “ingegnere”, quello vero.
Mentre il cliente continuava a sostenere che dovevamo lavorare insieme, mi resi conto dell’errore di aver fornito gli esecutivi, della trappola di aver delegato la responsabilità ad altri e della natura dei tre uomini che avevo di fronte: ci fu un confronto fra la mia opinione di architetto e docente di Composizione Architettonica ed il parere del suo tecnico di fiducia, cioè il geometra. Il cliente preferì il geometra.

 

Napoli, 30 luglio 2009
Oggi ho raggiunto con lo scooter Antonio Greco nel cantiere di Giugliano per sistemare la dima della guardiola del parcheggio. Villaricca e Giugliano sono un unico conturbamento a Nord di Napoli e non sarei riuscito a ritrovare le case a schiera, delle quali non ricordavo l’indirizzo, se non le avessi cercate su Google. Anche con quest’occhio moderno è stato difficile individuarle ma ci sono riuscito attratto dall’unico caseggiato che manifestava un senso di ordine. Allontanando l’immagine col mouse, mi sono ricordato un aforisma di Luigi Snozzi: “La varietà è il preludio alla monotonia, se vuoi evitarla ripeti il tuo elemento”.
In quel dedalo urbano dove mancano perfino i nomi delle strade e benché agevolati dallo scooter non è stato semplice trovarle ma, proprio quando pensavamo di esserci persi, ho intravisto le sagome delle case a schiera. Abbiamo visto e fotografato il retro che insiste su una strada secondaria mentre il prospetto principale è chiuso da un cancello che serve un doppio caseggiato. Sul citofono ci sono i nomi del cliente e familiari e dentro la cassetta postale. Così Antonio ha suonato affermando di dover consegnare alcuni stampati pubblicitari ma senza successo. Allora ho provato io, dichiarandomi, ma una voce femminile ha detto che stava per uscire. Era una situazione imbarazzante che ci faceva sentire imbonitori o evangelizzatori di sette mormoniche. Siamo entrati approfittando dell’apertura del cancello carrabile di un giardiniere e così ho potuto vedere e fotografare il fonte principale delle “mie” case a schiera.

L’insieme, che conserva un quid che mi piace definire il “nucleo” vitale di un progetto, si presenta ben eseguito con giardini curati ed un senso di pulito. L’architetto (il falso ingegnere) è riuscito a ben governare l’apparecchio dei mattoni con i disegni esecutivi a matita che gli avevo passato per i calcoli. Quei disegni, che contenevano le regole di connessione fra mattoni ed ossatura in cemento armato, non erano completi e per questo l’eccellente fattura delle cortine di mattoni è stata inutilmente estesa alle pensiline che invece dovevano essere di cemento bianco secondo un semplice principio di grammatica degli elementi. Il lato interno è un nodo complesso che non avevo disegnato ed infatti è stato spianato rinunciando al motivo a incasso che esprimeva la scala liberando nell’angolo un pilastro ed una finestra. Che la casa di testata sia rimasta al capofamiglia si desume dall’archetto posto sull’apertura inferiore e che suppongo che sia stata una richiesta del committente. Similmente non so quanto sia stato alterato lo spazio interno che nel mio progetto aveva raggiunto un equilibrio di estrema razionalità. Altra alterazione è visibile nel livello di copertura dove non sono stati realizzati i pergolati mentre sono stati ampliati i volumi. Sul fronte posteriore le modifiche sono più visibili: dalla cimasa che annulla l’impaginato sul piano, alla soppressione del muro che sosteneva il balcone in contrapposizione alla pensilina superiore; dall’apertura a nastro sul piano rialzato, all’incisione a incasso con le finestre dei bagni che evidenziava il passaggio fra le case.

Invece, occultato dagli ulivi, il pilastro oggetto della mia esclusione è poco visibile ma la sua inutilità è comprovata dal fatto che si ferma al primo impalcato.
Sono un cacciatore di foto d’architettura e vanto una lunga militanza di intrusioni in case e edifici meta di scoperte o premi dei miei viaggi però, in nessun altro luogo mi sono sentito un intruso come in quella strada privata benché fossi l’autore di quelle case che ritagliano un pezzo d’Olanda in un raggio di trenta chilometri di caos.

Sono convinto, come Le Corbusier, che il discriminante della buona architettura sia una questione di centimetri ma credo che quel buon trenta per cento di alterazioni siano ininfluenti per le persone che ci vivono. Per me no, però mi sono chiesto se anni fa sarebbe stato meglio cedere ed accettare l’inutile pilastro ma credo di aver fatto la scelta giusta: a parte la difesa dell’integrità dell’opera, il mio rifiuto al compromesso era dovuto al mancato rispetto del ruolo che tradiva il chiaro intento di escludermi dopo aver “rubato” i preziosi grafici degli esecutivi.

  • ANNO : 1993
  • LOCATION : Villaricca, Italy
  • SEZIONE : Case, Giardini e Restauri