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Boutiques Biagini

BOUTIQUES ANNA BIAGINI
Con Raffone & Associati

Dopo la costruzione nel 1997 del negozio di moda femminile in via Toledo e l’atelier in via Cirillo, nel 2007 la ditta Biagini ci commissionò i negozi nel Polo della Qualità e nel 2008 quelli in Piazza dei Martiri e in via Luca Giordano.

Capitolo
RECLAME, CARTONGESSO E FASCE GRIGIE di Altre parole nel vuoto” Giannini 2012
Nei cinema di Asmara, prima del film e dopo “La Settimana Incom”, c’erano le reclame fra cui ricordo quella del sapone Lux, in lingua araba ma con i sottotitoli in italiano, inglese e francese. Il francese non lo capiva nessuno però aumentava il prestigio del prodotto. Il termine reclame è stato sostituito da quello più appropriato di pubblicità che, oggi più di ieri, è una componente fondamentale per la vendita di cose, oggetti e servizi. Come l’omologa propaganda, tende al consenso ed il fine di entrambi è la persuasione ma, in quanto strumento di comunicazione è indubbiamente una forma d’arte che si esprime con le parole, con la grafica, con gli spot o con l’integrazione di più forme espressive. Oggi la pubblicità è spesso più importante della stessa produzione e costituisce il fondamento della moda. Moda e pubblicità incidono nel cambiamento dei costumi con giri di affari e comportamenti perversi raccontati nel film “Il diavolo veste Prada” e narrati nel romanzo “Gomorra”. Correlata al gusto, la moda è funzionale ad un’economia dei consumi che, una volta soddisfatti, non può che far leva sulle novità. Però in genere le novità strutturali sono inferiori all’esigenza di cambiamento, così si fa ricorso alle novità formali che agiscono sulla vanità facendo quindi transitare l’avere nell’apparire. Sembra che al crescere del benessere diminuisca la capacità di scegliere rendendo più comodo adeguarsi ai modelli dominanti. Far credere di essere in e non out, è un meccanismo sottile in cui tutti si devono sentire artefici anche se nei fatti sono assolutamente allineati.
Se la moda non cambia diventa consuetudine mentre all’opposto il “marchio” è un segno tanto più valido quanto più è costante e duraturo come il crocifisso o la mezzaluna ma anche il logo della Coca Cola o il cavallino rampante della Ferrari. Tuttavia, è noto che nelle società avanzate l’esigenza di cambiamento è una condizione vitale per far girare l’economia ed il cambiamento più semplice è quello epidermico dei beni dotati di un’immagine come il vestiario, gli oggetti e le auto al di là della loro obsolescenza, cioè del loro invecchiamento materiale: una condizione irrazionale perché insieme ai consumi si consuma il pianeta. Lo scenario non risparmia l’architettura in cui l’interesse suscitato dal nuovo e dal diverso è superiore al funzionale, al duraturo ed all’economico con effetti negativi sui costi, sui significati e sulla loro stabilità. Sorprende che anche bravi architetti si allineino ai modelli dominanti quasi esclusivamente formali.
Su queste insidie posso affermare che siamo sufficientemente blindati, protetti dal principio costante di valutare criticamente il “che cosa”. Quando Gianluca, dovendo cambiare l’auto, acquistò un Doblò a chi gli chiese le ragioni di quella singolare scelta, rispose che soddisfaceva i suoi bisogni ed aveva il pregio di essere già “fuori moda”. Ciò nonostante, quest’avversione non ci ha impedito di lavorare per la moda, ovvero progettare negozi, cioè un tema in cui, fra i dati funzionali, è prioritario l’aspetto identitario.
Con Pagliara avevo collaborato alla “Città del Sole”, un negozio di giocattoli in via Kerbaker. Negli anni Ottanta con Rosaria ho realizzato Des Carants, un autosalone ed un negozio per abiti nuziali a Calvi Risorta, due negozi Colette in via Duomo ed un altro in via Chiaia, e poi ancora un Colette ed altri tre negozi in via Duomo. Sono tutti realizzati in muratura, legno, metallo e vetro e poiché dopo più di vent’anni hanno resistito alle mode mi chiedo se funzionano avendo un’immagine oppure hanno un’immagine che funziona? Loos che si è occupato di moda, di buone maniere, di buon gusto ed eleganza scrisse che vent’anni dopo aver realizzato un interno, il cliente lo aveva ricompensato di nuovo per avergli progettato una casa che non doveva rinnovare.
Negli anni Novanta in Via Toledo avevamo realizzato un negozio per “Anna Bigini” (l’attinenza con Anna Biagiotti è casuale?), una ditta gestita da un giovane intelligente e volenteroso con l’ambizione di entrare nel mondo della moda. Il locale, suddiviso in due livelli di notevole altezza, fu risolto disegnando una scala smorzata da un pianerottolo. L’insieme, che invitava a salire, risolse il problema che lo aveva reso sfitto per molto tempo. Dopo qualche anno ci richiamò per rimediare al guaio di un giovane architetto che aveva già elevato i muri del loro atelier in via Cirillo. Anche qui il problema spaziale presentava non poche difficoltà che, chi ci aveva preceduto aveva invano tentato di risolvere con una fantasiosa quanto inutile disposizione a farfalla. Acquisendo i dati riuscimmo a ritagliare al meglio quanto necessario e cioè gli ingressi e la separazione degli uffici dall’atelier conferendo all’insieme il carattere di un vicolo napoletano. I clienti erano soddisfatti ma dopo un ulteriore bagno con altri professionisti (a Napoli ci ritengono cari ma siamo molto più convenienti perché i progetti sono precisi e non prendiamo nulla sottobanco), nel 2007 l’ormai maturo Biagio si ripresenta allo studio con ampi programmi: disegnare una linea del “marchio” per la realizzazione di ben cento negozi in francising di cui dieci di loro proprietà.
È stato il cantiere del Guggenheim a Bilbao a dischiudermi le potenzialità del cartongesso, un materiale economico e leggero che si presta alle più varie possibilità di plasmare lo spazio. Chiodi sparati con la pistola ai sottili profili metallici, rendono sufficientemente rigidi gli spessori di 13 millimetri. A parte i controsoffitti, dopo la visita a Bilbao l’ho usato in uno show room al CIS di Nola dove riconfigurava i pilastri ed una vasta parete di esposizione. Per l’economia di tempi e di costi, il cartongesso è stato il materiale risolutivo dei negozi “Anna Biagini Italia”. Il primo, nel “Polo della qualità”, aveva inoltre la funzione di prototipo compreso il design degli arredi. Il “Polo della qualità” è un complesso immenso ed a suo modo elegante realizzato alle porte di Napoli per riunire il meglio del “Made in Naples”. Il nostro box ha funzionato egregiamente ma l’ambiziosa struttura, benché promossa da capitali privati, si è presto rivelata un errore ed ha chiuso. Intanto per “Anna Biagini Italia” avevamo realizzato due negozi in Piazza dei Martiri ed in Via Luca Giordano – luoghi dello shopping di nicchia elevata – oltre un terzo negozio rimasto progetto in piazza Vanvitelli. In realtà si è trattato di progetti specifici per spazi diversi a due livelli e dove anche gli arredi hanno subito adattamenti.
Per i tempi di realizzazione ristretti le pareti sono state costruite in cartongesso. È stata l’esigenza di stemperare l’altezza del primo vano del negozio in Piazza dei Martiri ad introdurre le fasce grigie. In realtà lo spunto è venuto ricordando un progetto urbano di Piero Bottoni pubblicato su un vecchio “Controspazio”, il numero 4 del 1973, in cui è riportato il suo scritto “Cromatismi architettonici” del 1926. Il suo scritto sul valore costruttivo del colore era accompagnato da un disegno in bianco e nero che ha fornito l’incipit dei negozi Biagini. I negozi alla fine si caratterizzavano per queste tonalità di grigio crescente, dai mobili in policarbonato e dalla luce diffusa da teli “Barrisol”. Non sappiamo se è stata la crisi, ma il programma è finito con il negozio di via Luca Giordano.
In tre anni abbiamo visto aggiornare le loro linee che ricalcano rigorosamente quelle correnti, al contrario, nel ristretto e provinciale circuito cittadino, questi negozi hanno fatto tendenza. E resistono più dei cambiamenti delle mode di cui sono a servizio. I committenti, padre e figlio, volevano la liberatoria per i colori ed il design degli arredi che non abbiamo concessa perché la volevano gratis. L’effetto reclame di quelle fasce grigie in cartongesso deve aver funzionato.

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